0-1 anno. Stadio dell’allattamento e suo termine.

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0-1 anno. Stadio dell’allattamento e suo termine.

Il rapporto originario

Con la nascita, il corpo del bambino si è distaccato dal corpo della madre, ma la sua mente no, è come se fosse ancora nella sua pancia e lì continuerà a formarsi fino alla nascita dell’Io che avverrà solo alla fine del primo anno di vita.

Prima di allora la mente del bambino vivrà come un embrione nel rapporto originario con la madre, è questa la sua nuova pancia. Cioè vivrà in una unità primaria in cui il bambino e la madre, il corpo che ha fame e il seno che allatta, sono una cosa sola. Per lui l’esperienza del mondo è l’esperienza della madre. La madre non è percepita come fuori o dentro, né lui percepisce il suo corpo come proprio. Costituisce un’unità duale con la madre.

Regna la realtà unitaria che non ha il dentro e fuori, né soggetto e oggetto. È un’identità primaria tra lui e la madre, non è un’identificazione perchè l’Io non esiste ancora. È una relazionalità apersonale e una relazione senza distinzione. E’ una fusione, una simbiosi, un Tutto in cui psiche, corpo e mondo non sono ancora distinti l’uno dall’altro.

Il bambino è come adagiato in un recipiente  che lo contiene ed in cui la madre è il suo mondo, il suo corpo, se stesso. L’esistenza è assopita come nell’utero e lui è saziato, riscaldato, protetto, racchiuso, al riparo. (Neumann)

 Ciò che lo disturba e che comincia a svegliarlo dal torpore sono le sensazioni della fame, sete, freddo, dolore, essere bagnato. Queste sensazioni del corpo cominciano ad attivare l’inizio della formazione dell’Io. Le esperienze corporee attive: respirare, gridare, succhiare, inghiottire, urinare, defecare e quelle passive dell’essere riscaldato, accarezzato, pulito, lavato, non sono solo corporee ma diventano psichiche perché attraverso di esse il bambino sperimenta il mondo, se stesso e sempre più il corpo della madre come un Tu ed entra in relazione con il mondo reale. Questo segna l’inizio della seconda fase del primo anno di vita in cui il bambino si vive come soggetto e vive la madre come oggetto della  relazione primaria. La madre diventa così il Tu, l’altro, il mondo. (Neumann)

 Poiché il rapporto originario  contiene in sé il corpo,  il Sé, l’inconscio, il Tu e il mondo, è fondamentale che venga vissuto bene perché questo rapporto influenzerà il rapporto futuro del bambino con il proprio corpo, con se stesso, con il suo inconscio, con gli altri e con il mondo stesso.

 Il rapporto originario diventerà positivo per il bambino se la madre  starà vicino a lui, lo nutrirà, lo abbraccerà, lo amerà, si prenderà cura di lui e si metterà in una relazione vera e profonda con lui, con il suo corpo, con i suoi bisogni emotivi e particolarmente con la sua unicità e originalità. In particolare sarà positivo se la madre comprende il vissuto emotivo, quello che il bambino vive come lo vive e lo condivide e lo partecipa, rassicurandolo. Allora si attiverà dentro di lui l’archetipo della Grande Madre Buona che costituirà un elemento di base fondamentale della sua personalità.

 Il rapporto originario sarà negativo se la madre è assente fisicamente o mentalmente, se è affetta da una patologia mentale e lo nega, lo rifiuta, lo aggredisce, se è  fredda, arida.

Quando il bambino in questa fase della vita non è amato o viene abbandonato dalla madre, non aggredisce la madre o il mondo ma prende la colpa su di sé. La madre è vissuta come un dio e il suo allontanamento o rifiuto o la mancanza di amore viene vissuta dal bambino come una sentenza superiore, una punizione, una condanna senza appello. La psicologia del neonato assomiglia alla psicologia del tempo dell’uomo primitivo  in cui si pensava che la sventura e la malattia devono avere sempre una causa, una  morale e non naturale come la intendiamo noi. Le disgrazie sono sempre dovute a una colpa e vengono cagionate dal male,  da una trasgressione morale e così si associano la sventura, il dolore e la colpa. Ed è per questo che il neonato non potendo attribuire la colpa alla madre che vive come un dio, la attribuisce a sé. 

Si forma quindi il senso di colpa primario che assomiglia a una colpa primordiale.   Il senso di colpa  determina a sua volta la convinzione che non essere amato equivale a non essere degno di amore, a essere sfortunato.

 Il danno può essere riparato  nelle fasi successive con un amore intenso e vero; oppure nel corso della vita la Grande Madre Buona può essere attivata da altre figure materne positive.

 

 Il sostituto materno.

 È importante che la madre in modo specifico sia vicina al bambino. Nel primo anno di vita nessuno dovrebbe sostituirsi stabilmente e completamente alla madre, neppure il padre perché,  in questo periodo, l’unione duale di corpo e psiche è con la madre e lui non ha il suo corpo, la sua mente, la sua identità. Per cui i congedi parentali dei padri sono positivi se servono per sostenere  la moglie nella cura del bambino, ma se servono per sostituirla in modo stabile, al posto del congedo materno,  diventano negativi per il bambino perché scompare la pancia che li contiene.

La rinuncia della madre di prendersi cura direttamente del bambino e la delega totale e completa di tutte le cure ad altri che assumono stabilmente il suo ruolo  in tutto e per tutto nel primo anno di vita, quando l’unione è così totale e l’Io non si è ancora formato,  è vissuto dal bambino come una rinuncia della madre al rapporto, un rifiuto, un abbandono, un essere lasciato solo, perché non ha ancora la capacità di comprendere che una persona può ritornare. Per il bambino essere lasciato solo senza di lei significa non  avere più la sua base e quindi anche perdere o limitare la possibilità di evolversi.

Per sopravvivere si attacca alla nuova figura che ha assunto stabilmente la funzione materna, che lo nutre, che lo culla, che lo addormenta, che lo sostiene quando ha paura, che dorme vicino a lui, e si affida completamente a lei come a una nuova mamma.

Se la madre originaria riprenderà poi le sue funzioni e si risostituirà  totalmente all’altra figura materna, il bambino vivrà uno stato di confusione terribile, non saprà più a chi riferirsi, non saprà più chi è sua madre e non saprà quindi neppure chi è lui. Sarà minato anche il rapporto con il proprio corpo, con le sue emozioni, con il suo Sè,  con gli altri e con il mondo reale.

Questo aspetto dovrebbe essere tenuto in molta considerazione dai Tribunali dei Minori, affinché i bambini nei primi anni  non vengano appoggiati in Istituti per brevi periodi e poi dati in affido e poi  riportati nella famiglia di origine.

 

Perdita parziale della madre.

Anche quando la madre manca per più di un giorno, il bambino vive una assenza che per lui è una perdita reale inconcepibile e senza giustificazione. Non ha ancora il senso della realtà. Per lui la madre è  onnipotente, non si ammala, non muore, non soffre, è tutto. Non vederla gli procura un vissuto di rifiuto verso di lui, di negazione, di disinteresse, di rottura del rapporto e quindi di non amore.L’angoscia della perdita è anche relativa all’angoscia della perdita del nutrimento, che per il bambino corrisponde al seno; e quindi senza il nutrimento  c’è la angoscia di morire, oltre che per abbandono, anche per fame.

 Il vissuto della perdita della madre è provocato anche dal concepimento di un altro figlio. Se la madre rimane incinta di un altro figlio durante la fase del primo anno di vita, quando il bambino è ancora con la mente nella pancia dell’unione originaria, lui sentirà che il suo posto nella pancia è stato preso da un altro. L’unione originaria è con un altro. Poiché l’unione è totale e duale, la madre è presa in modo profondo dall’unione con il nuovo feto. Il bambino si sentirà così ” mollato “, abbandonato, abortito a livello psichico. Si troverà così solo e perso, senza il suo punto di riferimento. È come se la mente che si stava formando, nel momento del concepimento dell’altro, si blocca nella sua formazione dentro la pancia ed è costretta ad uscire per far posto al nuovo venuto e deve andare a maturare e formarsi in un altro posto, senza il nido caldo e il contenimento della ” pancia materna “. Un altro posto dove il rapporto duale non c’è più, perché è esclusivo e totale e la madre lo sta vivendo con un altro che è nella sua pancia e anche a livello fisico.   La perdita della madre quindi corrisponde alla perdita del rapporto originario, totale, simbiotico, assoluto.

  

La perdita totale della madre.

Se poi il bambino perderà completamente  la madre nel primo anno di vita a causa di un abbandono definitivo o di una morte ( che per un bambino è vissuta nello stesso modo) perderà anche il rapporto originario e si verificherà anche la perdita  definitiva di contatto con se stesso, con il proprio corpo, con gli altri e con il mondo reale. (Neumann)  E’ un trauma terribile.

Nella gravidanza aveva la madre dentro di sé, l’aveva sentita, amata, ha vissuto le sue emozioni, le sue sensazioni più profonde più intime, ha il  suo sangue dentro di sé. Essere diviso da lei, essere abbandonato in un momento in cui dipende totalmente dalla madre, genera una angoscia così profonda che equivale a quella che proverebbe una persona se si aprisse improvvisamente una voragine sotto i suoi piedi e si sentisse sprofondare  nel vuoto abissale e nel buio più totale.  La  mente del bambino subisce una frattura e si forma un vuoto, un buco nero profondo che nessun amore futuro potrà mai colmare. Potrà avere esperienze materne e paterne positive, ma nessuno potrà mai arrivare nella profondità della sua ferita.

 Per questo diventa indispensabile che i genitori adottivi non si separino a loro volta dalle origini del bambino adottato, ma cerchino di recuperare dentro di sé  il materno  perduto. È importante che facciano da ponte sopra al vuoto, all’ abisso della perdita totale e si ricongiungano con il pensiero e con il cuore insieme al bambino con le sue origini culturali, sociali, emotive, con i suoi progenitori, con la sua  realtà, senza negarla, senza separarla dalla loro vita .

Ed è necessario che anche il bambino in futuro recuperi il materno perduto, prendendo coscienza che il vissuto dell’unità primaria è ancora dentro di lui, come è ancora in lui il sangue della madre del padre che lo hanno generato. Questo gli permette di ricongiungersi con qualcosa che viene prima della ferita.

 Ma anche una ferita così insanabile ha il suo senso e il suo significato e si può ricollegare ad una particolare storia che è necessaria per raggiungere lo scopo, l’essenza di quell’esistenza.   Per sanare la sua ferita il bambino deve e può far ricorso a a qualcosa che è esistito prima di quella ferita, prima di quella madre, prima del suo concepimento e cioè al suo  DNA psichico, al suo Sé e al senso in esso contenuto. Può far ricorso a Dio Padre, che lo ha voluto, pensato, creato e amato, prima della sua esistenza, prima dei suoi genitori.   Così la ferita può diventare feritoia per sé e per il mondo e permettere di vedere la profondità delle cose.

  

Prevenzione primaria.

 È quindi fondamentale dare tutta l’attenzione possibile alla relazione madre bambino in queste fasi della gravidanza e del primo anno di vita, perché da questa dipenderà tutta la personalità futura del bambino. Qui si impiantano le fondamenta basilari su cui poi si costruiranno tutti gli altri piani della casa. Questa condizionerà positivamente o negativamente le future tappe e crisi della crescita.

 Poter curare il rapporto originario del bambino permette di fare una prevenzione di tipo primario e cioè di poter prevenire in modo radicale e scientifico i futuri disturbi della personalità, del comportamento e dello sviluppo dei minori e quindi anche dei futuri adulti.

 È importante che venga considerata maggiormente a livello culturale e sociale. E’ importante che le madri possono avere congedi fino alla fine del primo anno di vita per poter stare vicino al loro bambino; che vengano tutelati entrambi il più possibile con asili nido nei posti di lavoro o a livello condominiale per non far perdere al bambino almeno  il suo contesto familiare.

Un discorso specifico va fatto per gli ospedali. Proprio ai fini di una prevenzione delle malattie di ogni tipo, è fondamentale prendersi cura della coppia madre e bambino nella fase neonatale.   Non si può considerare un bambino appena nato come un paziente adulto qualunque, con la sua camerata, la sua assistente il lavaggio e cambio, con l’unica variante della poppata che obbliga la presenza della madre. Poiché il neonato costituisce una unità  indivisibile con la madre, non può essere separato da lei neppure per poche ore, nè sostituite le cure con estranei. L’assenza della madre determina angosce rilevanti che non riesce a sostenere da solo e che permangono anche se sembra adattarsi e smettere di piangere.

Ancor più grave è l’isolamento del neonato a causa di un parto prematuro o di una malattia grave. Anche in questo caso sarebbe necessario inserire la madre nella struttura che lo sta curando, con la presenza continua di lei vicino al bambino,  poiché la madre garantisce energia, forza per reagire alla malattia ed è per lui ancora la fonte di amore e di vita.

La nascita è un momento sacro come la morte e ha bisogno di essere curata e supportata nel miglior modo possibile; è questo che caratterizza la civiltà di un popolo.

 La cura della relazione primaria è la prevenzione più importante e più necessaria in una società in cui ogni relazione, anche le più intime e le più importanti, sono diventate secondarie nei confronti della produttività, dell’economia, del consumismo, di un collettivo amorfo e dominante.

Per la nostra società è importante recuperare il senso della individualità, della unicità e originalità e quindi della diversità, per dare occasioni alle persone di ritrovare la propria identità, il proprio senso e tutto questo può iniziare solo con la cura e il rispetto per l’inizio della vita, per l’unione duale  in cui comincia a germogliare l’identità e l’unicità della persona futura.   È necessario dare a questo periodo il massimo dell’attenzione anche perché è un momento estremamente delicato e fragile per il bambino. In lui ogni esperienza negativa o positiva, anche la più piccola, determina forti emozioni, timori e angosce; dalla capacità della madre di capirle e accoglierle dipende la loro integrazione e la loro elaborazione.

Quindi è oltremodo importante che a livello sociale e culturale la madre e il figlio siano aiutati e supportati nel conoscere e nel gestire questo periodo di vita. Sono necessari operatori sanitari preparati in modo specifico su queste fasi e sul sostegno alla famiglia, capaci di riconoscere i segnali del neonato e i sintomi, capaci di saperli correlare ai vissuti e capaci di contenere le ansie dei genitori.

 

Le fasi più importanti del primo anno di vita.

 

Fase della nascita.

 Appena il bambino nasce cambia letteralmente il mondo che aveva conosciuto fino ad allora ed entra in un mondo nuovo, completamente diverso. È questa l’angoscia della nascita: trovarsi in un contesto completamente estraneo e aver perso quello conosciuto, aver perso l’utero della madre. E’ un lutto, un finire definitivo di qualcosa che non tornerà più.

Ma è un lutto anche per la madre che ha perso un modo di vivere il bambino. Diventa così necessario e fondamentale per tutti e due adattarsi alla nuova situazione recuperando il rapporto di vicinanza. Stare vicini il più possibile permette di attenuare questa crisi di separazione, ne ha bisogno la mamma e ne ha bisogno il bambino.  Questo processo di adattamento alla nuova situazione è fondamentale  per i vissuti futuri.

 

 Fase del tenere.

Tenere vicino a sé il bambino significa contenerlo, ma anche contenere il corpo. Un corpo tenuto è un corpo che supera l’angoscia della perdita del corpo della madre. Questo vissuto di cure e di attenzione lo porterà a vivere con meno angoscia tutte le future perdite della madre e le fasi di abbandono fisiologico, quando cioè si dovrà staccare da lei per sperimentare relazioni nuove e andare verso il mondo.  Le future separazioni saranno invece deleterie e cariche di angoscia perché rinnovano e ricordano l’angoscia primaria di un vissuto di abbandono di un corpo non con-tenuto.

 Tenere il bambino significa abbracciarlo, toccarlo,  accarezzarlo, massaggiarlo, tenerlo avvolto in una coperta calda, far sentire il corpo al bambino in tutte le sue parti; ma significa anche fargli sperimentare la gioia e l’amore di chi lo sta toccando.

La relazione sta passando attraverso il fisico,  attraverso la pelle, la bocca. La pelle è il confine con il mondo, la bocca percepisce il latte e introietta il mondo e l’ano riporta al mondo qualcosa che entrato ed è stato elaborato.  Così  il bambino comunica  con la madre attraverso le sue funzioni corporee  e comincia a recepire il proprio corpo.

Percepire il proprio corpo permette di sentirne i movimenti  biologici, la consistenza, la massa, la forma, i confini. Permette di sentire il dentro e fuori e questo è l’inizio della coscienza e di una spazialità e di una temporalità. Ma è anche l’inizio della coscienza di un sè fisico. Ogni conoscenza e ogni  esperienza  emotiva  ha sempre origine da una esperienza fisica e concreta che passa attraverso il corpo; è questa che la attiva e la fa nascere.   Lo sviluppo del sistema cutaneo e del sistema nervoso  hanno infatti  la stessa origine biologica.

 Essere tenuto significa quindi avere una percezione positiva del proprio corpo, sentirlo accettato, amato, rispettato. Se il corpo sarà stato amato e accettato profondamente dalla madre, sarà accettato anche dal bambino e lo sentirà come intero.

 Se non ci sarà stata questa esperienza fondamentale il corpo sarà vissuto come estraneo, come frantumato, come oggetto rifiutato, come parte di sé non  amata. E così il bambino lo vivrà nelle fasi della vita successive, come qualcosa di negativo da controllare, come un elemento non proprio. Questo vissuto è spesso alla base di futuri disturbi del comportamento alimentare e dell’anoressia.

 Un corpo non tenuto non è vissuto come intero, come punto di riferimento delle percezioni di sé e il bambino vive un disorientamento nello spazio e nel tempo. Questo è spesso alla base di futuri disturbi dislessici.

 Il disorientamento non è solo spazio-temporale, ma anche affettivo e un corpo non centrato è spesso facilmente preda di malattie, di incidenti o di abuso.

 

Fase orale. 

 La fase del primo anno di vita è caratterizzata dalla fase orale. Orale viene dal latino os-oris = bocca. Infatti la bocca è il centro di tutte le percezioni del neonato e delle sue relazioni con il mondo. È il punto più sensibile e più importante a livello fisico ma anche psichico. Attraverso la bocca passa il latte, ma con lui passa anche la madre, colei che aveva perduto fisicamente, colei che, nella sua mente,  fa parte ancora del suo corpo, fa parte di lui.

Prendere il latte quindi per un bambino non significa solo nutrirsi ma significa anche ricongiungersi, ritrovare una unità perduta, restaurare un paradiso perduto dove tutto era naturale e non c’era limite e separazione.

 Ora il bambino si è separato fisicamente e si trova in balia dell’istinto, della fame, del freddo, del vuoto, dell’assenza. Se prova dolore, paura, l’angoscia può solo piangere e in tal modo chiede aiuto, richiama l’attenzione su di sé.

Se si sente abbracciato, contenuto, amato e nutrito con il latte dalla madre, si placa a livello emotivo ma  anche fisico perché il suo corpo produce  endorfine che provocano piacere e  tolleranza alla frustrazione.

 

 Nella fase orale  la bocca è anche l’organo della conoscenza. Attraverso la bocca il bambino impara a conoscere le cose, ne sente la forma, la consistenza, il gusto. E’ un organo tattile che precede quello delle mani. Il mangiare non è  quindi solo il nutrirsi, “ma è anche contattare, comunicare, afferrare il mondo”  e la zona orale  diventa una zona gnosogena  (=che genera conoscenza) perché da essa derivano non solo il piacere, ma anche la conoscenza della realtà e del mondo” (Neumann).

Attraverso la bocca gli aspetti fisico, psichico e cognitivo sono unificati. È l’origine unificata dei futuri processi neuro fisiologici, emotivi e di apprendimento. È il fondamento che fa comprendere più di ogni cosa come i tre aspetti abbiano origine insieme e come siano strettamente collegati. Nella nostra cultura  li abbiamo dissociati, li abbiamo spezzettati e isolati. Potremo capirne la loro vera natura solo riconsiderandoli nella loro unicità originaria e nelle relazioni profonde che li collegano e che li fanno interagire insieme.

 E’ in questa fase orale e in modo specifico con l’allattamento al seno della madre, che nasce anche la fiducia  in sé.  Quando il bambino desidera il latte e ne ha bisogno, si accorge che questo latte arriva e il seno che lo porta è morbido, soffice e caldo; ha quindi un vissuto che a un desiderio corrisponde una realtà.

È come se pensasse  che il suo desiderio fa diventare reali le cose desiderate, cioè che è lui con il suo desiderio e il suo pensiero a dare vita e consistenza al seno che lo nutre. E’ quello che si chiama il pensiero onnipotente o magico.

La sensazione che prova di essere quindi l’artefice della realtà, colui che la crea e la determina, gli dà un vissuto importantissimo di essere lui il creatore, il protagonista, l’ideatore del mondo. Questa diventerà una fiducia di base in una capacità creativa, positiva verso il mondo e verso se stesso.

 Tale fiducia sarà minata alle fondamenta, se questo vissuto di pensare il seno, di trovarlo, non si realizza. Se cioè il materno non c’è, oppure se è presente fisicamente  ma emotivamente è freddo e distante; se qualche grave dolore sta riempiendo la mente della madre assorbendone tutta  la sua vitalità, se la tensione e la preoccupazione di fare tutto bene è più importante del rapporto naturale di amore tra la madre e il bambino.

 

 Anche la madre vive una fase orale, la rivive nel suo rapporto di unità originaria con il figlio. La rivive a livello inconscio e molto profondo.  Se l’ha vissuta con sua madre in modo sereno, positivo e carico di accettazione, riuscirà a ritrasmettere la sensazione di positività e si sentirà aperta  al nuovo venuto. Avere e dare il latte significa anche riempirsi di una madre natura che sgorga e dà la vita.

 Se però avrà vissuto un rapporto originario carico di tensione, ansia, angoscia, aggressività, assenza, rivivrà a livello inconscio le angosce di un neonato e possono essere tanto dolorose e tanto cariche di rabbia da attaccare il materno, da rifiutarlo ancora.

La perdita del latte, il poco latte può essere il segnale di una presa di distanza da una madre antica e da un dolore che fa troppo male. È una reazione inconscia automatica e involontaria, è un impedire che un materno negativo passi, è un impedire  ad un dolore di entrare nel nuovo rapporto.

Il bambino però non ne conosce il motivo è spesso sente la fatica e l’angoscia antica della madre e può esprimerla con ansia, irritabilità, disturbo del sonno e dell’alimentazione.

 

Fase del sorriso.

 La formazione della mente passa attraverso vari stati. Per raggiungere uno stadio più evoluto, la mente deve prima passare  attraverso uno stadio di scomposizione.  Ogni nuova esperienza infatti e ogni nuovo dato di apprendimento entra nella struttura mentale. Una volta entrato, prima di poter trovare il suo giusto posto ed essere quindi assimilato, provoca uno scompiglio e disordine in quello che c’era prima. Il vecchio ordine di dati deve aprirsi per far posto al nuovo  dato e, aprendosi, si spezza e si scompone. Appena il nuovo dato trova il suo posto e viene assimilato, la struttura mentale si adatta al nuovo, si ricompone e ritrova un ordine nuovo .  (Piaget)

 Ogni volta quindi che c’è una tappa nuova evolutiva, la mente subisce una forma di deintegrazione = rottura  della vecchia integrazione, perché sta formandosi una nuova tappa. Quando questa si è formata, si ha una reintegrazione che equivale al ricostruirsi di una struttura ordinata però in modo nuovo e più evoluto. (Fordham)

 Alcuni autori chiamano questa forma di sviluppo della mente: organizzatori e il segnale che è avvenuta una nuova composizione più avanzata: indicatori. (Spitz)

 Nel primo anno di vita sono presenti due indicatori molto importanti.

Il primo indicatore si manifesta a tre mesi circa ed è la comparsa del sorriso di fronte ad un volto. I bambino cioè riconosce il volto nella sua triade: occhi, naso, bocca e, di fronte al sorriso della adulto, risponde con un sorriso. I volti sono ancora tutti uguali per lui, ma li distingue dal resto delle cose.

Questa esperienza gli permette di cominciare a percepire  la possibilità di una relazione con un oggetto di amore che comincia  ad essere riconosciuto e sul quale può indirizzare le sue emozioni e le risposte.

 Il secondo indicatore si manifesta intorno all’ottavo mese di vita ed è la reazione di angoscia di fronte al volto di un estraneo. Il bambino cioè comincia distinguere il volto della madre che diventa per lui in riferimento centrale della sua vita fisica e psichica. Riconoscere  il volto estraneo, diverso dal materno, suscita una notevole angoscia  perché rappresenta per lui la perdita della madre. È come se il volto della madre non c’è più e anche lei è scomparsa. Il volto di un estraneo significa trovarsi da solo, aver perso il suo legame con la vita, con la sorgente, con il centro del suo mondo, con se stesso.

 L’angoscia  con la comparsa del pianto sono indici di una tappa importante che segna l’acquisizione stabile di una rapporto oggettuale con la madre, in cui cioè la madre è l’oggetto di amore esterno a sè e lui è il soggetto di amore.

Questa percezione di sé e di qualcuno esterno a sè segna la fine di uno stato di indifferenziazione, in cui tutto è identico a lui e segna l’inizio di una separazione dove l’Io è distinto da un Tu e per questo possono mettersi in relazione. È l’inizio di una relazione cosciente.

 

Fase dello sguardo.

 Quando il bambino è in grado di riconoscere il volto della madre, è in grado di riportare sul corpo della madre riconosciuta, l’esperienza del corpo che ha percepito in passato. Comincia quindi un riferimento importantissimo delle esperienze corporee e sensitive che vengono attribuite a uno oggetto concreto di amore.

Il bambino riconoscendo il volto comincia a percepire lo sguardo e l’emozione intensa che passa attraverso di esso. Poter vivere lo sguardo e lasciar passare le emozioni che emana, permette al bambino di poter vivere quelle emozioni con il proprio sguardo e quindi di potersi rispecchiare nello sguardo della madre. Ciò permette di sentire non solo la madre, ma anche se stesso e le proprie emozioni che passano in quello sguardo.

Nella fase del rispecchiamento quindi il bambino percepisce le proprie emozioni e quindi se-stesso rispecchiato nello sguardo della madre . Lo sguardo della madre  gli dà una sensazione di esistenza, di identità che sarà alla base  del futuro sentimento di identità .

  

Fase del contenere .

Quando un bambino ha un bisogno fisico e questo non viene soddisfatto, prova un dispiacere e un forte dolore. La sua natura istintiva e il suo pensiero onnipotente e totalizzante non riescono a concepire  l’assenza, la mancanza e neppure il limite, per cui quando non ha una soddisfazione prova dolore e rabbia che si esprime anche a livello fisico con uno scarico neuromotorio della tensione emotiva. Non è un bambino capriccioso come si pensa, è solo un neonato che pensa come un neonato e agisce come tale.   Ancor più le angosce primarie abbandoniche, il dolore emotivo, lo spavento per qualcosa che vive come distruttivo, determinano reazione e rabbia e scarico della tensione che si manifestano a volte in modo continuo e intenso.

Queste reazioni istintive e neuromotorie devono essere contenute dalla madre e dalla sua capacità di rassicurare che non è successo niente e che quel dolore non è mortale e per questo può esser sopportato.

 Se l’intervento della madre funziona ed è efficace, quel dolore, quegli elementi angoscianti, quelle “spine”, diventano “elementi alfa”, cioè diventano elementi che non fanno più male e che addirittura permettono di crescere e di diventare  in futuro capaci di gestire la propria paura e di non soffrire troppo di fronte alle difficoltà. Inoltre determinano una funzione importantissima nello sviluppo, cioè la funzione creativa, la capacità di sentirsi protagonisti di qualcosa di nuovo nel mondo . (Bion)

 Se invece non c’è una madre, o la  madre non è capace di contenerli in modo adeguato, quelle pulsioni, quelle tensioni fortissime emotive e neuromotorie diventano ” elementi beta “, cioè diventano schegge impazzite che schizzano di qua e di là nella mente del bambino facendo danni rilevanti.  Poiché queste sono le  prime tensioni, sono anche quelle più intense e più profonde e su queste si baserà la formazione della futura personalità. (Bion)

 Se quindi sono schegge, pezzi di vetro infranto che tagliano quello che trovano, la futura personalità non sarà mai armonica e stabile. Anzi, sarà spesso condizionata da questi traumi primitivi tumultuosi e pericolosi e dalla conseguente paura di morte e di annientamento non  con-tenuta . Sono questi i fantasmi irrazionali che, nel buio arrivano a minare la stabilità, l’identità e la stessa integrità dell’Io .

 Diventa quindi indispensabile per le madri conoscere il contenimento e diventare capaci di contenere . La madre è l’unica che ha la possibilità di contenere le angosce fino in profondità; non perché i padri non siano capaci, o altri familiari, ma per la sua unità originaria con il bambino, per il rapporto simbiotico che ha con lui.

 Contenere significa attivare la reverìe. (Bion) La reverìe é un modo di pensare e di agire internamente .

Davanti al bambino che è agitato, o angosciato o spaventato, la madre non si spaventa, non si fa prendere la mano dall’angoscia del bambino, non diventa lei stessa un bambino spaventato.

Ma deve vedere quella angoscia con gli occhi di un adulto, è un’angoscia che si può gestire, è piccola ai suoi occhi, non è impossibile da affrontare. Lei può trovare soluzioni, farsi aiutare; sostanzialmente sa che quella angoscia non porta alla morte, non è la fine del mondo come pensa il bambino.

In questo modo pensa il dolore del bambino. Mentre lo pensa così, deve guardare il bambino negli occhi e far passare attraverso gli occhi e il contatto del suo corpo e delle sue mani, che lei è pronta a prendere dentro di sé quel dolore e quella paura. Può tranquillizzarsi perché lei  sta pensando quella paura e sa che per lui è terribile, è veramente la fine del mondo . Ma, poiché non lo è per lei, lei la può fare entrare dentro di sé, nella sua mente e nel suo cuore e lì la tiene e lì la contiene.

Così la paura non è più una scheggia impazzita senza limite e senza spazio, ora è dentro un contenitore. E’ dentro qualcosa di definito,  qualcosa che ha un limite, uno spazio, un posto dove può essere tenuta . L’angoscia  si sente abbracciata a livello del pensiero, si sente accettata e com-presa da qualcuno che è sicuro, che non è spaventato e che sa cosa fare .

 Dopo averla tenuta dentro la madre può arrivare a cambiarla, può trasformarla da angoscia distruttiva in una angoscia costruttiva. È come se la digerisse .

Grazie alla sua capacità di non spaventarsi, può far diventare l’angoscia da grande e gigantesca in piccola e innocua, da distruttrice e portatrice di morte in un fastidio lieve, da qualcosa di assoluto in qualcosa di piccolo, da qualcosa di eterno in qualcosa che può durare poco .  In questo modo dentro di lei gli elementi beta diventano elementi alfa, quelli positivi .

 Una volta che questi elementi sono stati trasformati dentro di lei, allora sempre con lo sguardo e il contatto fisico, li ripassa al bambino, glieli ridà cambiati e modificati . Quello che quindi rientrerà dentro al bambino saranno elementi positivi trasformati che hanno il sapore di mamma, che hanno il sapore del latte .

Il contenere è un po’ come succhiare il veleno di una ferita e sputarlo via. È lo stiepidire la pappa che brucia con il soffiare della mamma che gliela dà solo quando è a temperatura giusta. È insomma un intervento che abbassa una pressione troppo forte per il bambino e la rende adatta a lui. È l’effetto che suscita una persona quando con tono pacato e molto intenso dice: ”  non è successo niente, va tutto bene! “

 Questo intervento della madre diventa fondamentale per la crescita. Con il contenimento il bambino non avrà più dentro di sé quegli elementi pericolosi e impazziti che lo tormentavano continuamente. Ma avrà  elementi positivi nuovi, cioè l’esperienza che il dolore non distrugge, che lui è amato e non è solo di fronte alle angosce e avrà l’esperienza che  di fronte al panico c’è la possibilità di calmarsi e di trovare un equilibrio e una soluzione.

Questi elementi positivi gli daranno la sensazione di sentirsi attivo di fronte al mondo, di sentirsi capace e di poterlo pensare in modo nuovo.

 Con il contenimento inizierà per il bambino un’esperienza fondamentale per la sua mente totalizzante e assoluta. Avrà l’esperienza del confine, del limite, della sponda, dello spazio, del tempo che passano prima attraverso l’esperienza del contenitore-mamma per poi diventare esperienze sue interne.

 Una madre che fa da contenitore attiva la possibilità che anche nel bambino nasca e si formi la capacità di contenersi, di accettare il proprio limite, di sopportare la mancanza, la frustrazione e lo stesso dolore.

  

Crisi dello svezzamento.

Ogni stadio evolutivo è caratterizzato da una crisi. La crisi è il segnale del cambiamento.

Viene dal latino crino-is che significa rompere. Infatti la crisi è la rottura di una struttura mentale che si era stabilizzata. È il segnale che qualcosa di nuovo è arrivato e che, per entrare, va a sconvolgere il vecchio ordine. Il vecchio ordine per aprirsi al nuovo venuto e per farlo entrare, deve rompersi per accoglierlo ma anche perché ormai non funziona più ed è finito il suo tempo.

La crisi quindi segna sempre la fine di qualcosa e l’inizio di un altra, la fine di una fase precedente e l’inizio di quella successiva. E’ il  segnale del nuovo che sta spingendo il bambino verso la crescita.

 Nel primo anno di vita la crisi  è determinata dallo svezzamento. (Montecchi)  E’ un momento importantissimo perché segna il passaggio dal latte materno alle pappe e, a livello simbolico,  rappresenta il primo distacco dall’unità originaria con la madre. È molto delicato e crea angosce nel bambino di tipo abbandonico. Il bambino lo vive come un lutto, è la perdita, la fine di un’età beata, del paradiso terrestre dove il latte e il seno costituiscono l’oggetto di amore e di relazione. Ora non c’è più il latte e lui ha paura di aver perso l’oggetto del suo amore: la madre.

 È necessario quindi che le sue angosce siano contenute dalla madre. Se non è stato pensato in gravidanza, o non ha avuto un rapporto originario positivo, questo primo distacco sarà tragico perché rivivrà le antiche esperienze di lutto e di perdita della madre.

 Non superare questa crisi per le angosce non con-tenute può portarlo a rifiutare il cibo, ad avere disturbi di comportamento alimentare o disturbi psicosomatici.

 Supera la crisi se integra l’elemento nuovo come nuovo e attivatore di nuove funzioni fisiche ma anche emotive e cognitive e se scopre  che la madre non è stata persa, ma è stata ritrovata come una madre  rinnovata.

È una madre che sta stabilendo con lui una relazione nuova, sempre diretta ma meno fusionale. È un “vis a vis”, dove ci si può guardare  difronte  e il nutrimento è nuovo nel sapore, nel colore, nell’odore, nel tatto e nella consistenza.

Con la nuova alimentazione  il bambino impara a riconoscere che esistono cose diverse dal latte e dal seno, che esistono cose nuove. Quindi la relazione con la madre comincia ad estendersi e diventa sempre più evoluta.

 Il bambino così scopre che quella che sembrava una perdita è invece una conquista  di qualcosa che prima non c’era e che fa parte del suo mondo. Scopre che può giocare anche con quella cosa nuova, la può toccare, sputare, tirare. Scopre il gioco che è l’elemento più spontaneo e più vitale in ogni uomo.

 E scopre anche che non è più solo passivo, ma che può diventare attivo, qualcuno che fa, qualcuno che può e che le sue reazioni non passano più solo attraverso il pianto, ma anche attraverso una motricità istintiva, ma propria. Può reagire, toccare,  prendere, battere, mordere,  tirare e questo lo fa sentire più capace.

Nello stesso tempo questo fare diventa un modo di conoscere il mondo. Toccare gli permette di avere la percezione sensoriale del liscio, ruvido,  pesante, leggero. Sentire gli permette di riconoscere il rumore della cosa che ha tirato dal seggiolone. Vedere, le nuove forme del piatto, del cucchiaino e le mani della mamma. Mangiare i nuovi gusti risveglia anche l’istinto  innato dei sapori e degli odori.   È un passare dal completamente liquido a qualcosa di più sostanzioso anche a livello evolutivo.

 Dobbiamo pensare che ogni volta che un’esperienza passa attraverso il corpo diventa non solo una conoscenza fisica, ma anche intellettiva ed emotiva.

 La crisi dello svezzamento è anche una crisi nella madre perché sono profondamente uniti nel rapporto originario. Anche la madre vive un lutto, una perdita di un seno che è un punto di riferimento, una perdita di un periodo che non tornerà più.

 Se la madre ha vissuto una perdita del materno nel suo periodo originario, se ha avuto angosce di abbandono di un seno buono, vivrà questo lutto in modo problematico.   

Poiché questa sofferenza è a livello profondo è facile che ne risenta il bambino al quale manca una madre che non ha paura della perdita e che lo accompagna verso il superamento della crisi. Gli manca una madre che ha fiducia nella sua crescita e che cresce con lui.

 Trova invece una madre ancorata a una fase primaria, con la nostalgia e il desiderio di un seno che non c’è più, una madre che non riesce a contenerlo perché a livello inconscio è angosciata come lui.

Può sviluppare allora sintomi psicosomatici che sono il segnale di una sofferenza vissuta dentro l’unità primaria.

  

La madre.

 La preoccupazione materna primaria.

 Subito dopo la nascita del bambino,  la madre vive uno stato mentale fisiologico molto particolare: la preoccupazione materna primaria.

 Inizia durante la gravidanza e si conclude circa due  settimane dopo la nascita del bambino e una volta superata non è ricordata dalla madre che tende a rimuoverne il ricordo. (Winnicott)

Consiste nella capacità di identificarsi con il bambino, di sapersi mettere al posto del bambino e di percepire i suoi bisogni anche del corpo. E’ una dipendenza totale che esclude qualsiasi altro interesse.

La sua mente è così presa totalmente da una parte inconscia della sua personalità capace di sentire quello che sarebbe impossibile sentire con  la razionalità. E’ come assorbita in modo così intenso da perdere quasi la nozione della realtà, di sé, del tempo dello spazio. E’ un modo di essere e di pensare che permette al bambino di essere sentito e di sopravvivere.

 E’ molto importante lasciarsi andare a questo stato mentale escludendo ogni altra cosa. Le madri che non riescono ad escludere altri interessi, vivranno una sensazione di mancanza, di distanza, che non permette al bambino di vivere la dipendenza totale che per lui è come il nuovo liquido amniotico che gli permette di vivere.

 È importante che la madre sappia che questo stato mentale non è patologico, ma è assolutamente naturale ed è importante che non lo viva il modo negativo, non lo rifiuti ma lasci che avvenga, lasci che si manifesti. Fa parte del suo essere mamma ed è essenziale e consequenziale al costituirsi di quell’unità originaria  fisica e psichica.

 E’ una preoccupazione primaria perché è allo stato arcaico, antica, ancestrale, traspersonale, collettiva, tipica di tutti popoli e di tutte le civiltà, è archetipica. E, come tutti simboli archetipici, comprende in sè nuclei intensi di energia, elementi spirituali e aspetti divini che non appartengono a un’unica persona.

 Lasciarsi andare a questo stato significa partecipare a una unità più importante dell’unione di due persone, significa toccare e sperimentare livelli profondi e alti che appartengono a tutta l’umanità. L'” essere presa ” della madre dipende infatti dall’intensità e dalla natura traspersonale  e archetipica  dell’esperienza primaria.

 Dopo due settimane questo stato mentale comincia a risolversi e la madre  si ritrova a  poter rimettere i piedi per terra e poter ritrovare se stessa.

L’esperienza di unità totale diventa sempre più concreta e sempre più familiare  e l’aspetto universale si fa sempre più personale e sempre più particolare.

 La sua unione è ora non solo unione di due elementi orizzontali, ma anche di due elementi verticali, dell’alto e del basso, dello spirituale con il materiale, dell’universale con il particolare, del traspersonale con il personale.

 L’unione  madre e bambino neonato rappresenta infatti per ogni persona e per ogni popolo un simbolo che incutere rispetto e profonda emozione in quanto tocca e attiva una parte profonda di ognuno di noi.

  

La madre sufficientemente buona.

 La madre positiva non è quella tutta buona o totalmente buona, ma è quella sufficientemente buona. (Winnicott)

 Essere tutta buona, significa assecondare sempre continuamente ogni richiesta del bambino e fare tutto e subito. Se questo succede il bambino subisce un grave danno, rimane sempre fermo e bloccato alla fase del pensiero onnipotente in cui cioè pensa che basta pensare una cosa o chiederla e quella  arriva o succede. Questo non deve assolutamente avvenire; se avviene la madre diventa quella che lo imprigiona dentro un mondo di fate e di maghi fuori dalla realtà.

 Altrettanto negativo è non assecondare i bisogni del bambino, non rispondere alle sue richieste, negargliele o dargli cose diverse da quella di cui ha bisogno; impostare i ritmi e la quantità del mangiare e del sonno in modo rigido e assoluto; avere un rapporto prefabbricato, programmato nei comportamenti e nelle emozioni; lasciarlo piangere per lunghi periodi finché non ne può più.; lasciarlo solo; aggredirlo, urlare sfogando la propria rabbia.

 Quello che invece funziona e lo fa crescere bene è l’essere una mamma sufficientemente buona.

E’ una madre che risponde alle sue richieste, ma senza fretta e senza ansia. È quella che aspetta un pò, senza aspettare troppo. Non dà tutto e subito, ma qualcosa e con calma. Dà e fa quello che può, quello che è possibile, ma con la serenità che non c’è bisogno di correre e che arriverà  quello che il bambino ha chiesto.

La sua voce e il suo tono di contenimento fa da ponte tra i bisogni del bambino e quello che sta arrivando per soddisfarli.

 È estremamente importante che ci sia uno spazio, un breve tempo di attesa tra la richiesta e la soddisfazione; un tempo che serve da un punto di vista pratico, ma che è necessario per la mente del bambino. Quel breve lasso di tempo gli insegna infatti che il tutto e subito non è possibile. 

In questi momenti inizia l’educazione  alla misura, al limite, al contenimento.

 Se i bambini sono abituati fin dall’allattamento al tutto che arriva immediatamente al primo vagito, continuano a vivere la vita in questo modo e a richiedere sempre questa modalità di risposta, arrabbiandosi molto se questo non succede.

 La madre sufficientemente buona insegna l’attesa, la pausa, la sospensione. Mettere una pausa tra il bisogno e la soddisfazione di questo, permette di allungare e affinare il desiderio e il piacere, prima della soddisfazione.

 Ma ancor di più permette al bambino di cominciare a pensare. E il bambino comincia a  sforzarsi, tenta di ricordarsi e di riconoscere la madre o le cose che desidera, si concentra a sentire i rumori che sono associati al suo bisogno, cerca cioè di capire che succede e perchè non arriva subito il latte e la sua mamma.

Questa attesa è indispensabile per l’attivarsi del pensiero spontaneo del bambino. È il pensiero che è già motivato da un bisogno,  è il suo pensiero attivato dalla necessità fisica e psichica.   Senza questa attesa non c’è il pensiero.

 Un bambino che ha immediatamente soddisfatta la sua richiesta, non pensa, non si sforza di capire, rimane istintivo  allo stato puro, come gli animali.

Il pensiero si attiva quindi solo con la frustrazione che deve essere minima e che deve essere sempre mitigata dalle sensazioni della voce calma della mamma che lo placa e lo contiene.

 Un altro aspetto  fondamentale che attiva l’attesa, è il prendere coscienza del bambino delle proprie emozioni di desiderio, di ansia per il timore che non venga soddisfatto, di rabbia terribile per il ritardo. Questo è l’inizio della coscienza del suo sentire, della coscienza degli aspetti  istintivi che lo caratterizzano.

È in questa prima fase della vita che inizia la percezione e l’esperienza del pensiero e dell’emozione che lo accompagna,  grazie all’attesa.

 È importante che l’attesa non duri troppo. Quando un bambino per esempio  non viene abbracciato per lungo tempo o ha pianto per una intera giornata,  alla fine smetterà di piangere perché ha smesso di chiedere aiuto, perché si è rassegnato e pensa che non ci sono più coloro che lo possono aiutare. La rassegnazione nasconde una passività;  è il segnale che il bambino è entrato in una fase depressiva.

 Un’altra  conquista fondamentale che determina l’attesa è la tolleranza alla frustrazione.

Il bambino impara che se qualcosa non arriva immediatamente  non succede nulla, non casca il mondo e la sua mamma è lì che gli parla e lui non l’ha persa. Si abitua che per ogni cosa è necessario un tempo, un modo e uno spazio.

Quest’esperienza gli permetterà il futuro di pensare le cose con una impostazione di un tempo interno, con una progressione. Si darà cioè tempo per fare le cose. Sarà capace di aspettare, di fare silenzio, di sospendere un giudizio.

 Ma sarà capace anche di fare uno spazio dentro di sé, uno spazio vuoto, di attesa per qualcosa che ancora non conosce e che può venire dal profondo di sé, dall’inconscio.

È lo spazio di una parte creativa nuova, di un intuizione originale, di un’ispirazione artistica; ma è anche lo spazio attraverso cui  può passare la parte di Sè più profonda e più nascosta. È lo spazio che serve al seme originario per sbocciare, alla propria missione di potersi espandere e farsi riconoscere. È lo spazio del Sé, del riconoscimento di sè stessi.

  

Il padre.

 Nel primo anno di vita il padre per il bambino non è ancora ” il padre “. Nella sua mente esiste il materno e l’abbraccio e le cure del padre vengono vissute come un prolungamento della madre, una seconda mamma.

 Il padre in questa fase sembra in secondo piano e spesso vive con frustrazione  il fatto che il bambino abbia un rapporto privilegiato con la madre, che cerchi sempre la madre e che ne assorba tutta l’attenzione.

Si ritrova spiazzato dal figlio, ma anche dalla moglie che non ha più tempo come prima per lui, per la coppia. Sembra subentrata un’altra coppia e lui è diventato un assistente, un terzo.

 Molti padri cercano di recuperare una centralità assumendo le funzioni della madre, a volte arrivando a sostituirsi in modo totale o prevalente a lei. Si specializzano sulle necessità del bambino e cercano di rispondere in modo adeguato e migliore. Si specializzano così a fare ” il mammo”, concentrandosi sulle funzioni e le cure materne  per riproporle al figlio.

 Ma tutto ciò per quanto è fatto bene e con amore, non può mai sostituire completamente la persona della madre, perché ciò che per il bambino è il principale riferimento di cura e di amore è il rapporto con la madre, l’unione duale totale e primaria.

 I padri in questo periodo possono e dovrebbero assistere la madre nelle sue funzioni e, aiutarla, ma è fondamentale che la rendano sempre protagonista del rapporto con i bambino. Possono concentrare la loro attenzione nel curare tutti gli aspetti periferici, lasciando la centralità a lei. Possono sostituirla su sua richiesta.

 C’è una funzione importantissima invece che i padri hanno in questa fase e che solo loro possono avere e che è fondamentale  per il bambino. E cioè quella di funzionare da utero psichico, da contenitore dell’unione duale. Le loro cure affettuose cariche di amore non devono essere rivolte solo al bambino, ma alla coppia madre-bambino. La funzione di protezione e guida nei confronti della coppia primaria è tipica del paterno.

 Poiché il tramite del bambino è la madre, rivolgere tutte le cure alla madre,  ricoprirla di affetto, di attenzione, di amore, di contatto fisico, significa rinforzare la coppia unitaria, riempirla di energia psichica e di forza, significa nutrirla.

 Il padre deve fare da madre e da padre dell’unità originaria. Come padre la protegge e come madre la nutre, concentrandosi particolarmente sulla moglie.

In questo modo recupera il rapporto di coppia  ma nello stesso tempo fa arrivare al figlio tutto il suo amore nel modo più naturale possibile: cioè attraverso il canale della madre, che è l’unica porta della sua psiche.

 Il bambino così vivrà in modo naturale e sentirà un amore che affianca e rinforza la sua fonte di amore. È un’energia potente che raddoppia quella materna.  La sensazione della madre di sentirsi amata, protetta e compresa passerà al bambino e diventerà sua.

 Così il bambino comincerà a vivere anche un vissuto importantissimo, il vissuto del tre, il vissuto della famiglia, in cui ognuno ha un suo ruolo e una sua funzione. È l’archetipo della famiglia che si attiva,  che comprende l’unità e la differenza. Una unità in cui passa lo stesso amore di tre funzioni diverse e complementari.

 

I genitori.

 La notevole delicatezza della psiche del bambino può ingenerare nei genitori  il timore di sbagliare o di aver sbagliato in diverse occasioni. Ma quello che conta per i genitori non è di non aver mai sbagliato, quanto di rendersi conto dell’errore  e di rimediare.

I bambini hanno infatti una plasticità, una capacità dinamica di vivere, che noi adulti nella nostra rigidezza a volte facciamo fatica a concepire. Per i bambini quello che conta è che la persona che può aver sbagliato, si renda conto dell’errore, lo riconosca e lo aiuti a superarlo. Questo per loro è il vero amore.

 Nessuno è perfetto  e l’errore fa parte della stessa natura umana; non accettarlo, pretendere la perfezione significa rifiutare se stessi, andare contro la propria natura.

Accettare la nostra umanità significa accettare la debolezza, la stanchezza, la fatica e la rabbia anche contro un figlio che ci travolge la vita, ma quello che conta più di tutto per noi e per i figli è rendersi conto delle emozioni che proviamo, imparare a contenerle,  saperle gestire e impedirgli che diventino più importanti dello stesso amore, fino a distruggerci.

Questo è il messaggio che passa al bambino, il dare cioè prevalenza all’aspetto positivo rispetto al negativo, mettere in primo piano e al centro di tutto il figlio e l’amore per lui, più di ogni altra cosa positiva o negativa che si sia.

Questo è quello che il bambino sente e questo è quello che gli serve per superare il suo problema. Il genitore diventa così una guida, gli insegna che quello che conta non è non avere i problemi, ma saperli accettare, affrontare e superare con un fine, uno scopo, un centro preciso che è l’amore verso il figlio e verso quello che si è veramente.

 Riparare significa riconoscere l’emozione del bambino, il suo vissuto di abbandono, la sua angoscia, saperla accettare, per poi saperla contenere dentro di sè.  Significa vivere emotivamente il dolore per quel dolore, sentirlo e comunicare la sensazione. Significa fare da ponte tra il fatto accaduto e la madre che doveva comprendere e che sembra perduta.

Il dolore  scaturisce sempre da una scissione, da una separazione, il nuovo ponte emotivo serve per ricongiungere quello che sembrava separato.  Il ponte dentro la madre e il padre, permette all’energia emotiva che si era bloccata tutta da una parte, di rifluire, di ritornare ad irrorare l’altra.

In pratica l’errore è come se avesse impedito la circolazione del sangue in una parte di un corpo, l’avesse bloccata impedendo a quella parte di  essere nutrita  e di essere vitale. Il ponte nella mente e nel cuore dei genitori diventa qualcosa che riporta la circolazione a fluire il modo naturale permettendo a quella parte emotiva di rivivere e alla mente, di sentirsi completa e armonica.

 Questa capacità di riparazione è attivata dalla comprensione e dall’amore dei genitori, ma è una caratteristica propria della psiche che ha una capacità incredibile di non morire; anche se le sue parti sono spesso seppellite, negate, imprigionati e divise, ha anche  la capacità di sapersi rigenerare da sola. Dalle profondità di sè, dal seme originario può ripartire la linfa vitale, l’energia vitale che è capace di rigenerare, che non è solo ricostruire, ma anche di rinnovare in modo nuovo la persona. (Neumann)

 Accettare di sbagliare significa anche accettare la propria umanità, la propria debolezza, i propri limiti. Il genitore che non sente suoi limiti e non li accetta, passa al figlio questo sentimento di assolutezza, di perfezione che è solo mentale e non reale e lo blocca alla fase primaria.

 Riparare quindi le difficoltà, le paure permette di vivere la vita nel modo più vero. E il bambino risponde bene perché vive il midollo della vita che è plastico e  dinamico  nella sua essenza.

 Noi infatti siamo abituati a volte a pensare alla vita in modo statico. Cerchiamo e ci aspettiamo la pace come stasi, la tranquillità concepita come assenza di problemi, un paradiso terrestre senza dolore, senza fatica, senza morte. Ci arrabbiamo e soffriamo quando qualcosa di negativo sconvolge questo stato di quiete e porta scompiglio.

Dovremmo invece vivere in modo più positivo  il nuovo che sconvolge e cambia le cose. Tutto ciò che è fermo è carico di morte, è assenza di energia. Quando manca l’energia non si attiva più niente, neppure il corpo. L’assenza di energia è la morte vera.

 L’energia è di per sé moto, movimento, andare in avanti. L’energia viene da: energhes = attivo, efficace e da ergon = opera, l’energia è ciò che attiva, che muove. La vita stessa è nella sua essenza energia vitale.

Se per caso rimaniamo bloccati in  uno stato mentale, chiuso, fermo, stantìo, vecchio, arriva l’energia sotto forma di un fatto o un imprevisto accidentale che rompe lo stallo, rimuove e riporta tutto il movimento; si serve anche di fatti dolorosi ma che hanno l’aspetto positivo di rompere la chiusura del blocco in cui ci siamo rifugiati .

 Accettare il dolore, accettare l’errore, la rottura, significa accettare di muoversi, di trasformarsi, di lasciare che l’energia ci porti dove dobbiamo andare verso la nostra realizzazione. Significa accettare di vivere veramente dentro un significato e dentro una finalità.

 

 

 

 

 

 

Dr.ssa Maria Grazia Vallorani 

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