3- 6 anni. Stadio della conoscenza del mondo

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3- 6 anni. Stadio della conoscenza del mondo

 L’inserimento nella scuola materna.

 Questo stadio è caratterizzato dall’entrata del bambino del mondo sociale, nella scuola materna che è una piccola società.  Prima il mondo esterno era visto, toccato, sperimentato, ma sempre con la madre o il padre vicini. Ora si trova a lasciare la sua casa per entrare in un mondo nuovo e, con persone che non fanno parte della sua famiglia e questa volta da solo, senza appoggio.

 È un momento fondamentale per lui  perché in questo modo sta concretamente uscendo dal nucleo dell’unità originaria e dalla dipendenza assoluta. Ora cammina sulle sue gambe, non si appoggia alle persone conosciute e per questo è obbligato ad aprirsi al mondo nuovo.

Troverà negli insegnanti dei sostituti materni e nei bambini altri che come lui si sentono  soli e sono preoccupati e spaventati. Questo gli permetterà di scoprire che non esistono solo i genitori che si prendono cura dei bambini, imparerà che le persone sono diverse e scoprirà che è molto importante e gratificante sperimentare una relazione affettiva con qualcuno che non fa parte della sua famiglia. Scoprirà che i rapporti si costruiscono giorno dopo giorno e che, quello che sembrava pericoloso e devastante poi si rivela positivo, amico e gratificante.  Ma perché questo avvenga deve avere dei genitori che lo aiutano e lo spingono a fare queste esperienze.

 All’inizio non capisce il perché di quell’allontanamento  di quella  rottura con il mondo precedente e lo vive come un tradimento, una punizione, un’abbandono vero e proprio. Sta ai genitori e a come lo vivono loro, fargli capire quanto è importante per la sua vita.

Se dentro di loro questa fase è naturale e la vivono senza timori o angosce, il bambino lo sentirà  e ne avrà meno paura. Ma se dentro di loro questa separazione è dolorosa e fonte di angoscia, lo sarà ancor più per il bambino.

Se poi non è stato ancora aiutato ad uscire dalla fase primordiale, se  è ancora in simbiosi con la madre, farà di tutto per rifiutare l’inserimento nella scuola. Dimostrerà angoscia, malattie frequenti apatia, isolamento, oppure l’opposto: comportamenti asociali, aggressività verso i compagni, rifiuto delle regole scolastiche.

 In questi casi è importante risolvere il problema antecedente a questa fase ed è meglio concentrarsi sulle cause piuttosto che trovare soluzioni di collusione, in cui cioè sono gli stessi genitori a decidere la non frequenza, oppure una frequenza parziale della scuola.

Infatti questa fase della separazione dalla famiglia precede le successive. Se non viene risolta, ogni volta che in futuro il bambino dovrà affrontare una separazione, l’angoscia ritornerà sempre più forte, particolarmente nell’adolescenza.

L’ansia della separazione ha sempre alla base il timore di perdere non tanto il genitore, quanto il suo amore per lui. Non vederlo più significa non avere con sé l’amore, la protezione, il nutrimento e questo è quello che scatena l’angoscia dell’abbandono, della solitudine e della morte.

 I genitori dovranno quindi rassicurarlo sulla solidità del loro amore per lui. Accettare di allontanarsi per lui significherà anche avere acquistato fiducia nell’amore e imparare che si può esser amati anche senza vedersi e che quando ci si rincontra è più bello ritrovarsi per scoprirsi con la  ricchezza delle nuove esperienze.

 

Fase fallica.

 In questa fase il bambino acquisisce il controllo sfinterico e impara a riconoscere i segnali del corpo riguardo i bisogni e impara a gestirli.  Fare la pipì significa però anche provare emozioni nel trattenere  e nell’evacuare. Comincia così ad essere interessato ai genitali che scopre diversi tra femmina e maschio. Attraverso i genitali quindi impara a riconoscersi come maschio o femmina.

I genitali gli mandano delle sensazioni fisiche piacevoli.   Per questo comincia a toccarsi per imparare a conoscersi.

 

Crisi edipica.

 L’attenzione che prima era rivolta  ai genitali dopo i 4 anni  si sposta su un genitore.  L’avere individuato la differenza tra maschi e femmine determina una distinzione e una attenzione verso un nuovo oggetto di amore, cioè il genitore di sesso opposto al suo.

 Per il bambino inizia così un amore totale per la madre.  La madre diventa così il centro di tutto suo mondo, la persona più importante, la sua metà, la donna della sua vita. Come lei è tutto per lui, così il bambino vuole e pretende di essere tutto per lei e centro del suo mondo.

Ma c’è il padre,  l’altro uomo, quello che fa coppia con lei, quello che prende la sua attenzione e il suo affetto. Nasce così un fortissimo sentimento di rivalità,  e un inconscio desiderio di levarlo di torno.

 In rivalità con il padre per il possesso della madre farà di tutto. Si metterà in mezzo tutte le volte che si abbracciano e si baciano, vorrà dormire in mezzo a loro nel letto grande e si aggiudicherà la priorità esclusiva a fianco della madre.

 La stessa cosa pensa anche la bambina che si sente attratta  verso il padre,  che è  il  genitore del sesso opposto.   Si concentra su di lui come il bambino fa con la madre e fa di tutto per averlo per sé in modo esclusivo.   Il padre per lei è tutto, quello che dice lui vale più di ogni altra cosa; se la ama la rispetta e la considera, si sentirà felice e appagata. Se non la considera, è lontano o assente fisicamente o mentalmente, si sentirà respinta, abbandonata,  persa e senza riferimento per il suo sviluppo futuro.

 

 Perdere il genitore di sesso opposto in questa fase significa perdere l’aggancio con il mondo, perdere una centralità, perdere la possibilità di rapporti futuri carichi di fiducia e di amore. Un rapporto edipico negativo porta la persona a ristabilire inconsciamente nell’età adulta rapporti con partner negativi, riproponendo sempre la scena di un amore impossibile che crea sofferenza e solitudine.

 Il persistere nella rivalità da parte del bambino lo porta a controllare il padre e ad osservarlo per coglierne tutte le strategie e le capacità e batterlo sul suo campo. Impara così ad assimilare il maschile negli atteggiamenti, nei comportamenti, nelle sue manifestazioni per imitarli e conquistare così la madre.

In questo modo però comincia a identificarsi con il maschile, comincia a riconoscersi e a formarsi come maschio nel modo di essere, di pensare  e di fare. Comincia così a strutturarsi l’identità di genere, di un maschile sulle orme del padre e sulle orme dei padri prima di lui.

 Anche per la bambina avviene la stessa cosa, si orienterà a imitare la madre in tutto per la conquista del padre, per poi sedurlo e vincere la competizione con la madre. Userà i trucchi per il viso, si metterà i vestiti e le scarpe della madre e collane e anelli. Anche lei in questo modo, imitando il modo di fare, il modo di comportarsi e di atteggiarsi della madre, comincerà a identificarsi con lei e quindi con il femminile. Comincerà a sentirsi donna e con il tempo rimarrà l’identificazione e si dimenticherà che era iniziata per conquistare il padre e sottrarlo alla rivale.

 La crisi edipica quindi segna una tappa  fondamentale verso la relazione con il sesso opposto e quindi con il diverso da sé. Questo a livello profondo significa anche che si  sta attivando la capacità di instaurare una relazione con la parte sconosciuta, diversa dalla coscienza conosciuta e cioè una relazione tra l’Io e l’inconscio; questa relazione costituirà la base della futura personalità completa .                                                                                        

La crisi edipica determina così anche la formazione dell’identità sessuale. L’identità porta a riconoscersi, a fondarsi, a trovare il proprio posto nelle relazioni e nel sociale.

 Il complesso edipico è la fissazione in questa fase, è il bloccarsi a livello della crisi edipica. Si forma quando un bambino continua pensare e a vivere la madre come la sua donna e il suo riferimento principale anche in età avanzata.

Il complesso edipico blocca lo sviluppo e porta la persona anche nella fase adulta  a privilegiare la madre anche nei confronti della moglie, a non riuscire a fare a meno di lei e a vivere gli altri uomini come eterni rivali. Questo stato di eterno fanciullo, beato perché ha conquistato la madre, potente perché ha vinto il padre, appagato perché non si è separato da lei, porterà la persona a livello adulto ad avere problemi relazionali con l’altro sesso, problemi di identità sessuale, pensieri di onnipotenza alternati a impotenza e mancanza di senso della realtà perché non ha imparato a confrontarsi con essa.

 Il complesso edipico può essere determinato anche per la mancanza di conquista della madre. Una madre assente o anaffettiva, ambivalente e aggressiva può bloccare il bambino in questa fase per la mancanza di un rapporto di amore, di seduzione e di coppia. Lo stesso vale per la bambina.

  

I genitori.

 Nella crisi edipica il genitore ha un ruolo di partner agli occhi del proprio figlio. E’un rapporto di coppia che ha una valenza simbolica e che viene sognato e nello stesso tempo attivato nella realtà. Il bambino si lancia in un’opera di seduzione verso la madre e fa coppia fissa con lei.

La madre deve quindi mantenere la parte, il ruolo di partner affettiva  sapendo che è funzionale alla crescita. Accetta il desiderio, l’importante però è  che non  esaudisca  il desiderio del figlio di separarla dal padre, non deve fare in modo che lui riesca a vincere  il rivale e che arrivi a contare di più.

È naturale che il figlio lo desideri, ma questo desiderio non deve tradursi in realtà. La madre non deve cioè svalutare il marito, metterlo in secondo piano, dormire con il figlio sistematicamente, permettere che li separi ogni volta che desiderano stare vicini.  Deve mantenere il suo rapporto di coppia stretto con il marito anche davanti al figlio, deve dimostrare con i fatti che, anche se capisce il suo bisogno, il suo uomo è quell’altro e lui è il suo figlio adorato.  Si può giocare cioè ad avere ruoli di fidanzati, ma nella sostanza ognuno  deve riprendere il proprio ruolo.

 Così  l’edipo comincia a sbloccarsi. Non dipende quindi solo dal padre di rivendicare il proprio ruolo di paterno e di un uomo della madre, quanto dalla madre cioè dal genitore scelto,  rivendicare il proprio uomo e il rapporto con il padre.

Il bambino si sentirà un po’ deluso e tradito, ma proprio questa vittoria del padre  lo farà apparire ai suoi occhi come il più forte, colui che è capace di  farsi  scegliere. Comincerà quindi ad imitare il suo segreto, la sua tattica, la sua strategia e continuerà ad imitarlo in tutto.

La stessa cosa dovrebbe fare il padre verso la figlia e alla fine anche lei imiterà la madre come donna, capace di sedurre e di conquistare.

 Affinché il bambino imiti il genitore del proprio sesso è però importante che il genitore sia se stesso. Deve cioè mostrare i propri pensieri, il proprio modo di sentire, deve vivere quello che è. Deve essere.

Se invece il genitore è rivolto solo ad accudire il figlio, la casa e il lavoro e non dimostra aspetti personali e originali della sua identità, il bambino non avrà un modello di un uomo e donna completo da imitare e su cui identificarsi.

È importante quindi che in questa fase la madre sia più donna e più moglie possibile e il padre più uomo è più marito possibile e che esprimano chiaramente il piacere di esserlo. Vedere i genitori uniti porta a risolvere la crisi edipica.

 La divisione, i litigi, i conflitti in sua presenza, portano il bambino a permanere nella crisi e a vivere sentimenti di colpa rilevanti, perché nel litigio lui vede avverato e realizzato il suo desiderio di dividerli.

Se poi genitori si separano in questa fase oppure muore il genitore del proprio sesso, il rivale, il senso di colpa diventerà ancora più radicato per aver desiderato la sua  eliminazione.

 È importante che il genitore sappia quindi tutto ciò per poter aiutare bambino  a non sentirsi colpevole. In caso di separazione o di divorzio è fondamentale che nessuno dei due genitori demonizzi o aggredisca l’altro, perché blocca la spontaneità del processo e la fase dell’identificazione.   Andare contro l’altro significa andare contro l’identità del proprio figlio.

  

Il Super-Io e il paterno.

 Il Super-Io è la parte della personalità  che dà i giudizi, le norme di comportamento per l’Io, decide cosa è bene e cosa è male e di solito si forma in base alle norme ricevute dai genitori e dalla società.

 All’inizio il Super Io compare in forma arcaica ed è primitivo, vendicativo e assoluto e assomiglia alle modalità di comportamento della fase arcaica dell’umanità. (Neumann)

Nella sua mente ad ogni piccola mancanza corrisponde infatti un giudizio e una punizione terribile, esagerata. Fatti più rilevanti determinano una condanna. È per questo che i bambini piccoli quando vivono una colpa che si attribuiscono automaticamente quando non sono amati, o hanno il timore di aver causato la malattia del fratello con la loro gelosia, o la lite furibonda dei genitori per il loro complesso edipico, se hanno ancora un Super-Io arcaico, si condannano senza appello e in modo assoluto e vivono angosce di punizione terribili. Comincia così l’ansia per la malattia o l’angoscia di morte, o l’idea ossessiva di perdere le persone amate; tutte forme di punizione per la condanna assoluta che deriva dal Super-Io vendicativo e primordiale.

 Questa è la fase in cui si deve formare il Super-Io per farlo passare da una fase irrazionale, inconscia, totale a una fase adeguata alla coscienza, alla razionalità e alla realtà. Poiché queste sono funzioni tipiche del paterno, è il padre che può e deve attivarle.

 È questa la fase del paterno in cui cioè il bambino, spinto dalla madre verso il padre, entra nel paterno, nella sfera cioè della coscienza, del confronto con il reale e con il sociale. (Neumann)

 È fondamentale quindi l’apporto del padre che diventa l’elemento centrale per la crescita, sia per il maschio che per la femmina. Il padre infatti può far uscire meglio il bambino dall’unione simbiotica perché non ne faceva parte ed è l’elemento diverso, il terzo. Questo ruolo gli permette di poter veramente determinare il passaggio.

 È colui che, come maschile, è capace di penetrare nella diade unitaria e rompere l’assolutezza, è capace di dividere e quindi differenziare e così far venire fuori il nuovo soggetto, la nuova persona. (Neumann)

Solo la differenziazione può determinare la individuazione della personalità. Per essere se stessi in modo originale bisogna prima essere differenti, distinti dagli altri. La separazione determina la necessità di imparare a stare sulle proprie gambe, di camminare da soli, di fidarsi di sé e quindi di diventare autonomi.

 Questa penetrazione e differenziazione è possibile con l’intervento di un padre che fa il padre, che cioè prende le redini del figlio e lo orienta verso il mondo. Con la sua funzione di coscienza prima lo aiuta capire, a conoscere quello che succede fuori della famiglia, nel mondo; poi con la sua funzione razionale lo aiuterà a vedere gli aspetti pratici e logici delle cose e delle situazioni; poi con la sua funzione di guida darà i limiti all’istintività e le norme di comportamento nella casa e fuori.

 È molto importante in questa fase dare un confine all’istinto del bambino e che lo dia il padre in prima persona e in modo diretto. L’istintività del bambino se non viene contenuta tende ad aumentare fino ad imporsi sui genitori e sugli altri in modo irrefrenabile, con comportamenti asociali e aggressivi verso gli altri.

 La norma di comportamento: quello che si può e non si può fare, quello che si deve e non si deve fare, deve essere data e attuata dal padre il modo concreto e deciso. Il padre cioè deve intervenire concretamente  e guidare con decisione l’istinto del bambino. Deve porsi in modo autorevole, che non significa autoritario o violento, ma come quello di un comandante di una nave che guida e che ha la responsabilità del viaggio. Può capire, discutere, spiegare, ma alla fine è quello che decide e il suo equipaggio lo deve seguire.

Quello che conta nella guida è che padre sia convinto di quello che fa e che lo faccia con serenità, senza aggressività e con fermezza. È la tonalità emotiva e affettiva che metterà nella sua voce che convincerà più o meno il figlio.

 La madre dovrebbe lasciare che il padre intervenga, che rompa e scardini il vecchio ordinamento inconscio e porti il nuovo ordine conscio. L’intervento della madre in questa fase può essere di supporto a quello paterno e di riferimento a lui in caso di comportamenti disturbati del figlio.  E’ bene che i genitori discutano e si confrontino tra di loro in sede separata senza la presenza del bambino e insieme prendano decisioni comuni.

Le regole e i confini non devono essere neppure ossessive o imporsi su ogni particolare ( il modo di stare seduti, di parlare,ecc.); ci deve essere il massimo rispetto per la spontaneità, la naturalezza e l’originalità del bambino nel suo modo di muoversi, nel suo modo di pensare e di essere.  È importante mettere i limiti quando l’istintività rischia di danneggiare il bambino, quando mancano i freni.: quando pretende tutto quello che vuole, aggredisce gli altri, urla e si butta per terra per ricatto, rifiuta di diventare autonomo nel lavarsi e nel vestirsi. 

 Fare il padre  quindi significa fargli conoscere il mondo. guidarlo, fortificarlo, controllarlo, gestirlo.  Ma significa  anche sostenerlo, incoraggiarlo,  aiutarlo  a crescere, a diventare capace, sicuro, libero e  autonomo.  

 Alcuni padri non ce la fanno ad attivare questa funzione perché non hanno avuto un modello paterno, perché nessuno lo ha fatto con loro e hanno dovuto fare tutto da soli. Questi padri devono fidarsi del loro istinto paterno e della loro capacità e, proponendosi al figlio come guida, potranno sperimentare e riempire anche il loro vissuto infantile di questa esperienza paterna finalmente attivata.

 

 

 

 

 

Dr.ssa Maria Grazia Vallorani 

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