Come si attiva

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 I tre cardini. 

E’  importante conoscere come la natura  attiva il pensiero, come lo spinge  verso l’esterno. Sono sostanzialmente tre le molle  che fanno da motore al suo sviluppo e che  quindi lo educano,  lo e-ducano, lo portano fuori.

 

L’esperienza corporea.

Il pensiero parte sempre da un’esperienza fisica, concreta che ha a che fare con il corpo. Il freddo, la fame, la sete, sono bisogni del corpo che spingono il bambino fin da piccolo a pensare a qualcosa che può venire a soddisfare questo bisogno. Quando poi cerca di prendere un oggetto con le mani e non ci arriva, è attraverso il corpo che percepisce che non ce la fa e che quindi c’è una distanza, uno spazio, una misura. Dalle sensazioni fisiche della vista, udito, odorato, gusto, tatto nascono le esperienze corporee che permettono di prendere coscienza di una realtà esterna ed interna, che può essere pesata, misurata e quindi pensata.

Se si considera che la parola pensiero, viene dal latino e significa “pesare con precisione”, soppesare, dare il giusto peso,  si può capire l’importanza dell’esperienza del peso e della misura che può arrivare solo attraverso  i sensi e la percezione corporea. Vedere, sentire, gustare, odorare, toccare, permette di fare molto lavoro di confronto e di classificazione delle esperienze fisiche. Sono queste che poi si traducono in pensiero logico e astratto Nella vita ordinaria, l’esperienza concreta è stata sostituita da tanta percezione virtuale (film, TV, computer) che, non passando dall’esperienza diretta del corpo, fa diventare virtuale anche il pensiero. E’ un pensiero che copia, che ricicla, che imita, che parte da fuori e non c’è il pensiero che nasce da dentro.

Quando il pensiero nasce dalla sensazione fisica, non solo partecipa tutto il corpo e tutti i sensi, ma anche il sentimento, l’emozione, l’intuito, la creatività. La cosa più importante è che, nell’esperienza diretta il bambino vive se stesso come il protagonista, l’artefice, il referente, il centro di quell’esperienza  Si mette inoltre in relazione con qualcosa di concreto e di vivo e vitale. Nell’esperienza virtuale, dove non c’è esperienza del corpo, il bambino vive se stesso come ricettore, come colui che raccoglie qualcosa che è già pensato, che è già programmato da altri e si sente dipendente, passivo, estraniato anche da se stesso e non c’è posto per la sua originalità e creatività. Il virtuale è sicuramente importante e utile  se viene dopo l’esperienza del corpo, come l’immagine mentale viene dopo la percezione concreta. 

E’ importante riappropriarsi delle sensazioni fisiche e in particolare nella relazione con la natura. La natura, con i fiori, campi, animali, panorami è in relazione viva e significativa e profonda con la parte naturale del bambino e comunica non solo dati e percezioni, ma anche armonia, equilibrio, cambiamento, ritmo, senso e significato. Comunica il tutto ad ognuno in modo diverso parlando alla sua unicità, originalità e irripetibilità.

 

L’emozione 

Perché un pensiero nasca da dentro in modo spontaneo, è importante che nasca un’emozione. Senza un’emozione il pensiero non è vitale e naturale, è solo riciclato, ripetitivo e dipendente da altri pensieri.  L’emozione è interna e specifica di quella persona, di quel momento e di quel luogo. L’emozione determina una spinta, un movimento energetico. Il movimento determina un progredire dello stato mentale, che esce dall’immobilità e dallo stallo e va verso lo sviluppo. Anche un’emozione negativa, se viene pensata e compresa, porta ad un progresso di tutta la persona. L’emozione quindi spinge e  il pensiero diventa necessario per contenere, com-prendere, prendere dentro quell’emozione  In questo modo il pensiero entra in relazione attraverso l’emozione, anche con l’inconscio, con la parte sconosciuta della personalità.

Educare al pensiero significa partire non da un concetto da proporre  dall’esterno, ma significa partire da un’emozione interna, che nasce spontanea in un bambino, in un particolare momento e in un particolare luogo, per poi arrivare a relazionarsi, attraverso l’emozione, con gli oggetti della realtà che l’hanno provocata. Pensarli, conoscerli, valutarli diventa quindi significativo, diventa una continuazione di qualcosa che è nato da dentro, che si mette in relazione con qualcosa di fuori. Gli oggetti della realtà che si pensano diventano quindi parte della vita di quella persona, della sua storia e della sua unicità e non sono elementi estranei a sé, amorfi, contenuti freddi e distaccati.  Pensarli acquista senso, diventa anzi una necessità.  Il pensiero diventa così funzionale,  indispensabile per entrare in relazione con la realtà, diventa vivo, vivace, creativo.

 Senza un’esperienza emotiva le cose da apprendere diventano elementi vuoti, esterni, ripetitivi, diventano dati che si intromettono in modo meccanico e in modo altrettanto meccanico se ne vanno. Diventano un peso, un dovere subito, da cui si dipende e che si vorrebbe evitare in quanto estraneo e imposto.

E’ importante che il pensiero sia animato da un’emozione non solo nel bambino, ma anche nella  persona che educa e insegna qualcosa. Se il genitore, o l’educatore aiuta a considerare qualche elemento o fatto o dato, mettendo dentro emozione, passione, sentimento e un senso, allora quell’insegnamento diventa vivo, vitale, appassionante ed  entra nella mente del bambino e rimane impresso e carico di significato.

Se invece i pensiero o le cose che si dicono vengono espresse, anche se in ottima forma e contenuto, senza emozione o sentimento, di sicuro non lasciano segno o traccia e scorrono sopra alle menti e passano oltre.

 

 La frustrazione

L’intelligenza è la capacità di trovare la soluzione ad un problema. Se il problema non c’è, non si attiva e non si sviluppa. I problemi nascono dalla frustrazione, cioè da qualcosa che non va per i verso giusto o come ci si aspetta. Quando un bisogno viene frustrato, bloccato, impedito, non soddisfatto, allora nasce il disagio e il bambino è costretto a pensare per capire che cosa è successo e come fare per risolverlo, per poi arrivare alla soluzione e quindi alla soddisfazione del bisogno o del suo desiderio.  

La capacità intellettiva nasce quindi da un impedimento, da un ostacolo, da quello che sembra una disgrazia e che la persona tende a vivere come negativa e ad evitare o scongiurare in tutti i modi. Invece è un’occasione indispensabile che la vita offre per attivare il pensiero, per diventare vitali, per crescere.

La frustrazione è quindi  il motore che obbliga  a pensare e a cercare una soluzione. Senza la delusione, la rabbia, la fatica e il dolore per la perdita dell’esaudimento del desiderio, non si attiva la motivazione per la ricerca di una soluzione. Vivere fino in fondo questi sentimenti e cercare la soluzione in prima persona, porta ad una ricerca a volte lunga e laboriosa e carica di errori e sbagli. Ma è sbagliando che si impara e il tutto ha messo in movimento un’attività di ricerca, di confronto, di collegamenti logici che sono atti di intelligenza pura. Ma la cosa più importante è che questi atti e questa attività intellettiva non è impostata o diretta da qualcuno di fuori, ma nasce da dentro e ha uno scopo preciso, un suo significato, che è quello di raggiungere la soluzione.

Il bambino quindi in questa condizione si sente il protagonista, il mandante e l’esecutore, il destinatario e l’artefice  della sua ricerca. Scoprire la soluzione alla fine non gli da solo la soddisfazione ricercata, ma gli dà una più grande soddisfazione di sentire che ce l’ha fatta da solo, che è stato capace, che si può fidare di sé.

Scoprirsi capaci di affrontare gli ostacoli dà la vera sicurezza. Non è la mancanza di problemi che fa stare bene, ma la capacità di saperli affrontare quando si presentano perché la vita è di   per sé composta di positivo e di negativo, è movimento tra gli opposti, è un fluire in avanti attraverso modificazioni continue e passaggi, è un processo verso qualcosa da raggiungere. Raggiungere il fine, la realizzazione della propria unicità è quello che conta e che dà senso alla fatica, all’ostacolo e al movimento.

A volte i genitori, pensando di fare la cosa migliore, cercano di eliminare tutti gli ostacoli sulla strada del loro figlio, aiutandoli in tutti i modi, prevenendo le loro richieste, sostituendosi a loro. A volte lo fanno perché vivono con troppa angoscia la fatica del figlio, il suo senso di smarrimento, il suo dolore o la sua incapacità nell’affrontare una situazione. Il genitore deve sapere aspettare, avere fiducia che ce la farà, lasciarlo di fronte al suo problema da risolvere esprimendo fiducia. Deve aspettare il tempo del figlio e deve favorire lo spazio e la ricerca attiva e personale di una soluzione.

 

 

 

 

 

   Dr.ssa  Maria Grazia Vallorani

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